Al laureato non far sapere

Questa è la mail che mi ha inviato Vera Roberti un pò di giorni fa (a parte l’attacco, più formale e rispettoso del mio lavoro e dei miei 55 anni :-)). Io a Vera ho risposto, e naturalmente poi lo racconto anche a voi cosa le ho detto, le ho naturalmente chiesto il permesso di pubblicare la sua mail, e adesso mi piacerebbe che anche voi diceste la vostra in questa discussione, che secondo me non è per niente facile ma presenta molti aspetti molto ma molto interessanti.
Buona partecipazione.

Salve,
ho letto con piacere il suo libro Enakapata questa estate.
Sono perfettamente d’accordo con quasi il 100% delle sue considerazioni sulla ricerca in Italia e nel mondo. Io conosco molto bene questa realtà in quanto laureata in chimica con quasi dieci anni di precariato all’ attivo nel mio curriculum professionale. Poi mi sono arresa ed adesso faccio altro (vendo strumentazione scientifica per una multinazionale). Ho avuto anche proposte di lavoro all’ estero ma non so bene per quale motivo, se per paura o per mancanza di attitudine al cambiamento,  non ho mai accettato.
Una sola cosa mi ha lasciato un pò perplessa; ad un certo punto lei nel libro parla del suo compito “istituzionale” di professore universitario  ovvero delle prove di esame, parlando ad un certo punto di esamificio. Ebbene io penso che se dobbiamo aspirare all’eccellenza dobbiamo incominciare a farlo da subito ovvero dai banchi dell’università.
Perchè non si chiede agli studenti di non imparare a memoria ma di cercare di rielaborare le informazioni e farle proprie? Questo renderebbe magari gli esami meno sterili per gli studenti  e forse gli stessi meno noiosi per lei.
Questo inoltre potrebbe far diminuire il numero di promossi ed aumentare magari il numero di 18, ma non sarebbe forse meglio far laureare solo coloro che effettivamente lo meritano piuttosto che avere un esercito di laureati che non sanno che farsene di un pezzo da carta che ormai non vale più niente?
Capisco che questo discorso in un momento in cui i corsi di laurea vengono valutati in base al numero di promossi non è poi in linea con il pensiero corrente. Non sia mai si sparge la voce che quel determinato corso di laurea è troppo sellettivo con conseguente fuga di iscrizioni … dunque meglio una massa di laureati senza possibilità di futuro tanto poi in italia NON IMPORTA QUELLO CHE SAI MA CHI CONOSCI O MEGLIO DA CHE SEI PRESENTATO.
Resto in attesa di una sua risposta ringraziandola anticipatamente.
Cordiali saluti.
Vera Roberti

8 thoughts on “Al laureato non far sapere

  1. Come Felicia, anch’io vivo quotidianamente l’Università e credo molto nel percorso di studi. Miro ad essere una grandissima sociologa e mi sto impegnando duramente per riuscire.
    Per me l’università è formazione, crescita, educazione, ma tutto questo lo penso adesso dopo tre anni di duro studio e lavoretti per mantenermi.Da matricola, invece, è stato diverso: arrivata all’università degli studi di salerno all’età di 19 anni , credevo fosse tutto semplice dato che tutti mi dicevano: -andrai a sociologia??? Ah allora ti laurei presto e sarai disoccupata. Perchè non hai fatto i test a ingegneria? Fiorè studierai a vuoto!-. Io però sono sempre stata poco influenzabile e, anche se con voti scarsissimi, i primi 6 esami della mia carriera universitaria li ho dati imparando a memoria. Al secondo anno tutto è cambiato: ho conosciuto professori stimolanti ( non posso fare nomi ehehe)che mi hanno fatto comprendere la bellezza e la grandezza della sociologia e ho cambiato anche la mia mentalità….insomma….ho visto la realtà con occhi nuovi, e da allora non faccio altro che amare ciò che studio e metterlo in atto nella vita di tutti i giorni.
    Sociologia la consiglierei a tutti, davvero!
    Se non ci fossero stati questi prof evidentemente sarei stata la classica studentessa apatica che ora non sopporto ; ultimamente infatti, mi sono confrontata con una di queste: abbiamo avuto modo di sostenere l’esame insieme e….mi sono cadute le braccia sapendo che questa ragazza in futuro sarà dottoressa in Sociologia proprio come me e come tante altre persone che appassionatamente studiano per diventarlo. E’ vergognoso e chiederei ai prof di individuare queste persone che non porteranno alcun miglioramento al mondo a cui non importerà nulla di quello che è accaduto, accade e accadrà . E’ triste che molti giovani siano così. Il professore Aliberti è uno dei ricercatori che si sta attivando insieme a noi studenti per la causa “unisa in protesta” e ha modo di vedere anche tra noi le differenze.
    Tutto ciò deve cambiare. Io e molti altri come me riusciremo a migliorare le cose.

  2. Non ho una risposta solo un altro problema e qualche considerazione.
    “Non sia mai si sparge la voce che quel determinato corso di laurea è troppo sellettivo con conseguente fuga di iscrizioni … dunque meglio una massa di laureati senza possibilità di futuro”. Così scrive Vera. Tuttavia ciò vale anche per gli istituti superiore e per le medie: Se si dimostra che i bocciati sono pochi allora significa che l’istituto avrà ulteriori risorse per funzionare (al momento non vengono presi molto in considerazione altri strumenti di valutazione come ad esempio la qualità).
    Una veloce premessa.
    Dal lato dell’offerta,
    la logica del mercato ha ormai pervaso anche l’ambito del sapere. La Scuola e l’Università sono imprese che devono pensare prima di tutto a sopravvivere, il resto è secondario.
    A partire dalle rifome avviate nel 2000 si è sempre guardato troppo all’efficienza e troppo poco all’efficiaca. Questo perchè la Scuola come l’Università sono state costrette ad agire come imprese che stanno su un libero mercato, quando in realtà esse sono situate in una situazione di quasi-mercato. Hanno autonomia di gestionale, finanziaria e amministrativa ma devono rispettare rigide regole imposte dal Centro trovandosi di fatto in una condizione di semi-autonomia. Le regola principali stabilite dal Centro sono: Non sforare un determinato budget – che in Italia è il più basso rispetto ad altri Paesi dell’OCSE – e possibilmente ottenere risultati migliori che all’estero, e coinvolgere i soggetti economici dei vari territori nella scelta dell’offerta formativa.
    In altre parole la “casa madre” (Stato) chiede alle sue filiali (sistema di istruzione) di produrre conoscenza e trasmettere sapere nel miglior modo possibile e a costo zero tenendo conto delle indicazioni che provengono dal mondo imprenditoriale locale, che come sappiamo, è parco nell’offrire risorse ed eccessivamente generoso nei consigli.
    Dal lato della domanda,
    ci sono le familgie e gli studenti che, giustamente, pensano di investire tempo e denaro in un “prodotto” spendibile nel futuro. Anche chi domanda pensa come se stesse in un libero mercato: a fronte di X tasse pagate devo avere X crediti formativi (sapete che oggi si possono sostenere esami integrativi pagando il corrispettivo del numero di crediti che l’insegnamento offre?). Anche questi ultimi sono quindi in una logica di mercato. La “casa madre” pur di rispettare il contratto con i clienti decide quindi di penalizzare quelle filiali che non sono sufficientmente produttive, senza mai porsi il problema della qualità del prodotto, tagliando i “rami secchi” riducendone le risorse.
    In mezzo i “lavoratori della conoscenza” che devono tener conto delle direttive che vengono dalla Direzione, dei diritti degli studenti e delle loro famiglie (che stanno comprando un prodotto) e soprattutto devono tener conto delle proprie “responsabilità istituzionali.”
    A mio avviso è proprio questo il punto della situazione che vale per tutte le componenti del mondo dell’istruzione.
    Se responsabilità significa, dalla parte dell’Università, assicurare a tutti i costi l’offerta formativa indipendentemente dalla qualità della stessa perchè gli studenti e le loro famiglie pagano, e, dalla parte degli studenti, imparare tutti i libri a memoria, e/o sbattersi per accumulare crediti perchè così si finisce prima il corso di studi, allora tutti voi avete ragione.
    Io credo invece che la Responsabilità sia prima di ogni cosa un attributo della libertà. Essa deve rispondere prima a se stessi e alla propria coscienza, senza tradire i propri principi.
    Nella logica di mercato queste considerazioni sembrano essere fuori moda. Oggi si sta assistendo ad un terremoto nel mondo dell’istruzione. La “casa madre” ha deciso di tagliare indiscriminatamente le risorse a tutte le “filiali”, senza neanche verificare se ” scienza della pace” o “cura e benessere del cane e del gatto” producono più e meglio di “ingegneria” o “biologia”. A questo tipo di “riforma” alcune componenti del mondo universitario si oppongono ma la classe dirigente delle università “responsabilmente” decide di assicurare costi quel che costi l’inizio regolare di tutti i corsi perchè il cliente ha pagato e deve avere un prodotto, qualunque esso sia.
    Ho scritto di getto ciò che pensavo e sicuramente sono andato fuori dall’argomento, per questo vi chiedo scusa.

  3. Quando decisi di iscrivermi a Economia e Commercio, non conoscevo l’Università.
    Quando mi proposero di partecipare al Concorso per il dottorato di ricerca in Statistica Computazionale, non sapevo a che mi sarebbe servito e cosa fosse un dottorato di ricerca.
    Quando partecipai al mio primo concorso di ricercatore, non superai gli scritti.
    Quando partecipai al mio secondo concorso di ricercatore, non superai gli orali.
    Quando partecipai al mio terzo concorso di ricercatore, pensai che sarebbe stato l’ultimo ma lo superai.
    Al concorso di Associato presi l’idoneità e potei fregiarmi del titolo di “prof.”
    Erano trascorsi 19 anni da quando misi piede per la prima volta nell’Università!

    Morale: far capire ad ogni studente che non è importante cosa si fa e perché si fa, ma se ciò che si fa, lo si fa per crescere, in un senso profondo, si crescerà.
    Non è essenziale che l’orizzonte sia visibile per essere consapevoli di come costruire la propria strada.

    • Esistono persone però che non riescono ad andare avanti senza porsi tutti i perchè…
      Esistono persone per cui è importante sapere che cosa si fa e perchè lo si fa, anche chiedersi queste cose è importante per crescere…

      • Si, Felicia.
        Il senso del mio discorso è che dopo la scelta nominale di un corso di studio, di un “mi piacerebbe diventare da grande…”, occorre dedicare alle cose un’attenzione e una dedizione che va oltre la normale ricetta, di un regime minimo da velocità di crociera. Occorre infondere più risorse di quello che speriamo…
        Questo vale per lo studente, vale per il docente e per ogni attività. Le forze che si innescano sono invisibili, sono esperienze, percezioni, visibiità, capacità, attitudini, istinti.
        Cose che non si apprendono sui libri di testo e che non fanno parte dei programmi di studio.
        Non sapremo mai quando ci serviranno e in che modo verranno in nostro soccorso, ma se sapremo coltivarle, inevitabilmente le avremo al nostro fianco.
        Senza sapere cosa e senza sapere perché…
        Semplicemente, è un senso diverso.

  4. Non so perchè ma non mi va di parlare di colpe!!!
    Le si addossano troppo agli altri senza fare un mea culpa sincero.
    Io partirei dalla domanda di Vera sul perchè non si chiede agli studenti di non imparare a memoria, ma di cercare di rielaborare le informazioni e farle proprie.

    Qualcuno ha pensato, per caso, che bisognerebbe innanzitutto “insegnare” allo studente a fare questo? “Chiedere” non è il verbo che adotterei io. Io userei piuttosto EDUCARE, educare lo studente ad un altro approccio di studio.

    Io sono più abituata a vivere l’università più che ad utilizzarla. Il giorno dei test di ingresso a Sociologia (corso di laurea a cui appartengo) io ero lì!!!
    Ho voluto testare con mano il clima delle matricole. Risultato? Un’ondata di ragazzini scalpitanti, intimoriti dalla possibilità di potersi perdere nel labirinto di palazzoni, piuttosto che intimoriti dall’importanza di ciò a cui stavano andando incontro.

    Ognuno chiedeva all’altro cosa avesse studiato per fare quel test, e la risposta era quasi scontata: “Niente tanto qui si passa sempre”.

    Mi spiegate come fare a “chiedere” a questi ragazzi di cercare di rielaborare le informazioni e farle proprie???

    L’impegno che uno studente ci mette nell’affrontare un esame può essere forse riassunto in voto? Per me non c’è omologia tra voto e sapere.Il voto dovrebbere racchiudere l’aver saputo educare lo studente alla specifica materia da parte del docente di turno.

    Giusto per complicare un pò le iniziative per le varie riforme scolastiche, io inserirei tra i programmi dei vari corsi un TOT di ore da dedicare all’educazione al sapere, a programmi per gestire le situazioni si ansia e stress e pre-corsi di motivazionismo per le future matricole.

    Lo so chiedo troppo, e allora teniamoci il sistema così come è.. Cambiare richiede uno sforzo che molti pubblicizzano solo a parole, e di parole ne ho sentite fin troppe.

    Per farvi capire il mio modo di agire vi racconto brevemente un mio esame.
    Per motivi che non voglio raccontare, si era creato un rapporto strano e di conflitto con un docente (odio la dicotomia “docente-so tutto” e “studente-succube perchè io ho il potere”). Il giorno dell’esame, nonostante conoscevo bene il programma (non lo dico per dire, perchè le mie bocciature, meritate, le ho accettate senza batter ciglio), ho scelto di far scena muta e di aprir bocca giusto l’essenziale. Il docente mi ha proposto il 18, l’unico sul mio libretto, e io ho accettato, dicendogli che quello era il voto che lui si doveva dare come docente, per tutta la serie di motivazioni che ho citato prima.

    “Lo studente non è una macchinetta self service, non funziona così. Non si deve chiedere, ma li si deve educare all’interiorizzazione delle nozioni. Come dissi un mese fa a qualcuno (….), i docenti all’esame raccolgono ciò che hanno seminato”.

    Se poi non si ha voglia e passione di trasmettere valori aggiuntivi alle nozioni di turno è un’altra storia.

  5. Anche io frequento la Facoltà di Scienze Politiche e posso capire quali siano i pensieri che passano per la testa di Mario. Ero presente anche all’appello dell’esame di cui ha parlato.
    Personalmente, mi sono rifiutata di sostenere l’esame con il professore. Sono uscita dall’aula, e dal momento che gli esami venivano verbalizzati dalla sua assistente, ho chiesto a lei di ascoltarmi. Il risultato è stato, oltre ad aver avuto la possibilità di aumentare il voto dello scritto, di constatare che la mia preparazione era stata adeguata.

    In merito alla triste mancanza di lavoro, vorrei dire che molto spesso la nostra generazione si rifiuta di svolgere lavori che non siano inerenti al proprio corso di studi.
    Accendendo la Tv, possiamo osservare come in tutta Italia siano richiesti addetti ai lavori manuali. Spesso i datori di lavoro sono disposti a dare in cambio un altissimo compenso. Io temo che bisognerebbe piuttosto risolvere il problema non partendo dalle Università, ma dalla scuola superiore. Assistiamo ogni anno a liste e liste di pluribocciati. Ma dico, se un ragazzo non si sente predisposto allo studio, perchè non può essere indirizzato verso un lavoro di questo genere, che ha tutto il rispetto di questo mondo?
    Mia madre mi racconta sempre che prima i ragazzi della generazione anni ’70 si appassionavano all’artigianato, al mondo dei motori e a tantissime altre cose. Tra un pò non avremo più falegnami, nè meccanici.

    Anche io sono consapevole del fatto che nelle Università manchi l’amore per la cultura. Manca l’interesse. Questo perchè effettuiamo scelte inconsapevoli.
    E’ raro che una persona intraprenda un corso di studi perchè si sente appassionato in quelle materie. E’ la mentalità un pò materialista che ci circonda, e purtroppo anche un’esigenza fondamentale.
    Io ho avuto la possibilità di scegliere liberamente, senza costrizioni.
    Mio padre, al momento della scelta, mi ripeteva: “Devi scegliere in base a ciò che con maggiore probabilità può darti un lavoro”. In questa sua affermazione lui intendeva dire che avrei dovuto scegliere la Facoltà di Economia, o di Informatica, dato che i miei fratelli maggiori con questa scelta sono riusciti ad ottenere un buon posto di lavoro.
    Io ero confusa, ma su di una cosa ero certa. Gli risposi: “Papà, ho 19 anni e sceglierò in base alla mia età. La tua è una considerazione sì da persona matura e responsabile, ma anche da persona 50enne, e io non voglio sentirmi così nel mio animo”.
    Così dicendo ho guadagnato tutto il suo rispetto per la mia scelta, che è stata un’alternativa sentita “a pelle”.

    Ora sono soddisfatta. Ho incontrato una persona speciale e ho la possibilità di continuare a coltivare la mia passione per il disegno e per l’associazionismo.
    Sono in regola con gli studi e affronto con interesse la varietà di materie che caratterizzano il nostro corso.
    Non avrei potuto fare scelta migliore. E non nego che è in me l’idea di cambiare corso per la laurea magistrale (ci sarebbe la possibilità di frequentarla presso la Facoltà di Economia). Così sperimenterò un corso nuovo.
    L’importante è viverla, sempre!

  6. Non posso trattenermi dal concordare con quanto scritto nella lettera della signora Vera anche se non si possono addossare al sistema universitario italiano tutte le inadeguatezze e disfunzioni del nostro amato ma afflitto paese.
    Io mi sto laureando in scienze politiche e mi rendo ben conto che per quanto io mi sforzi probabilmente la mia laurea sarà solo un pezzo di carta da appendere alla parete…lo sapevo anche prima di iscrivermi all’università che di lavoro c è ne è poco e spesso malpagato,che in italia non si investe sulla cultura e sui giovani,che si va avanti solo a botta di raccomandazioni ma sfortunatamente questa è la situazione in cui ci siamo trovati a vivere.
    Se le università sono diventati degli esamifici (anche a me l’ avete detto professore durante il mio esame) il rimedio non puo’ risiedere esclusivamente nell’abbassare i voti per far divenire meno numerose le iscrizioni agli atenei.
    Se i posti di lavoro mancano e quelli più appetibili sono occupati spesso da raccomandati che dalle università escano dieci laureati o cento non fa alcuna differenza…è il sistema paese che deve cambiare (e anche il presidente del consiglio :-) )
    E” innegabile comunque che nelle facoltà oggi manchi un pò quell’amore per la cultura,per ciò che si sta facendo,che a mio avviso dovrebbe essere palpabile nelle università ,che invece sono piene di ragazzi che superano esami senza neanche capire di che cosa si stava parlando nel libro,che scelgono le facoltà quasi alla cieca e che in definitiva poco hanno a che fare con l’università.
    Ed è forse questa l unica vera colpa dei professori che dovrebbero essere più capaci di diffondere amore per le materie che insegnano .
    Insomma che l università non sia più un posto dove assicurarsi un futuro certamente non è colpa dei professori ne degli studenti ma che essa sia diventata un posto meno serio del passato,bhe,forse un pò di colpa c’è l’abbiamo anche noi.
    Proprio pochi mesi fà ho sostenuto un esame che doveva essere diviso in una prova scritta ed una orale e con mio grande stupore al momento degli orali il prof. ci ha fatto mettere in fila e ci ha domandato,uno per volta,sempre la stessa cosa , sbrigando cosi la seccatura della parte orale(visto che doveva prendere un aereo…) e se a questo aggiungete che al suo posto a lezione c era sempre un assistente,si capisce bene che qualcosa non quadra.Comunque la cosa più triste della faccenda è che quel giorno l’unico infastidito ero io,tutti gli altri se la ridevano contenti .

    p.s.
    professò la volevo ringraziare perchè il giorno del mio esame mi avete fatto i complimenti e mi avete fatto ricordare che anche se non paga,studiare,quando si studia non per il voto ma perchè si ama l’argomento fa bene allo spirito.Grazie mille ;-)

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